martedì 5 agosto 2014

Perché il Pirata riposi in pace

Marco che scala montagne, che allunga su tutti prima di tagliare da solo il traguardo. Pochi calcoli, solo determinazione e voglia di dimostrare di essere il più forte.
Non vedeva l'ora che la strada incominciasse a inclinarsi, per poter alzarsi sui pedali e spingere più che potesse. Questo è il campione che io ricordo, colui che faceva oscillare la sua Bianchi come nessuno, testa bassa e solo concentrazione, un uomo forte e risoluto, non di certo un debole o un indeciso.


Invece per 10 lunghi anni dopo la tragica notte di San Valentino del 2004, ci hanno fatto credere che quel ragazzo non era così determinato una volta sceso dalla bici, che avesse ceduto alla depressione, come uno qualunque alle prese con i suoi dilemmi.
Che si fosse fatto sconfiggere da semplici paranoie, che non fosse stato capace di combattere tutto quello che comporta l'essere famoso.

Dopo tutto questo tempo invece, ci dicono che in realtà può essere andata diversamente, che le tante perplessità tenute vive da Tonina, la madre di Marco, dalla sua famiglia, e dai suoi più stretti tifosi, sono da prendere più in considerazione.
Fa sicuramente rabbia pensare che non sia stato fatto tutto nel momento giusto, subito dopo la sua morte, prima di buttare fango a livello mediatico, di considerare il romagnolo un semplice cocainomane, o di etichettarlo come una persone infelice che aveva semplicemente deciso di farla finita.


Non sono mai chiari i motivi per cui un uomo decide di buttare una vita, soprattutto quando hai una schiera di persone che credono in te, nelle tue imprese, nelle tue gesta.
Ma Pantani nonostante i momenti di difficoltà, aveva sempre dimostrato di essere uno che le giornate se le godeva, gli piaceva giocare, cantare, stare con gli amici.
Perfino una delle ultime persone che l'ha visto, lo descrive come un ragazzo sereno il quale non sembrava pensare al suicidio, anzi con sorriso e pacca sulla spalla, gli aveva promesso l'autografo per il figlio quando sarebbero tornati il giorno dopo.

Hanno provato in molti a fermare il Pirata, le tante accuse di doping, le amicizie sbagliate, una storia burrascosa con la fidanzata danese Christina Jansson e i sfortunati incidenti con la bici, come lo scontro con un auto prima del Giro d'Italia del '95 e un gatto che lo fece finire fuoristrada durante la Corsa Rosa nel '97.

Nel 1999, dopo una magnifica rimonta sulla salita di Oropa che lo vide trionfare e prima di una tappa importante, arrivò il fermo per i livelli di ematocrito superiori al limite ammissibile, e fu portato via dall'albergo di Madonna di Campiglio da un plotone di carabinieri, come un vero criminale.
Quella fu la volta in cui Pantani sembrò arrendersi una volta per tutte, dichiarando di non credere di potersi rialzare dopo l'ennesima caduta. I tifosi rimasero perplessi e stupiti così come gli altri corridori che partecipavano alla storica manifestazione. Paolo Savoldelli, che divenne leader dopo l'esclusione del romagnolo, si rifiutò di vestire la maglia rosa.


L'anno seguente però Marco torna sui pedali, deciso a mettersi tutto alle spalle, e sfida il più forte di tutti i tempi, quel Lance Armstrong che dominerà il Tour per 7 volte (primi di vedersi revocare i titoli per doping nel 2012). Il capitano della Mercatone Uno dimostra all'americano di essere ancora decisivo, staccandolo su ascese impressionanti come il Mont Ventoux e Courchevel, prima di abbandonare la Grande Boucle per un virus intestinale.
Anche in quell'occasione, verrà affermato che il Pirata aveva lasciato la corsa per evitare i test antidoping, gettando il ragazzo con la bandana nel totale sconforto.

Gli anni dal 2001 al 2003 vedono un Pantani pronto ancora a reagire, ma le continue esclusioni dal Tour lo costringono a curarsi in un clinica veneta per il suo stato depressivo.
Fu costruito tutto perfettamente dai mass media, era molto meglio raccontare di un uomo distrutto, che indagare su quello che gli girava attorno. Il rischio di scommesse clandestine, l'amante russa, Elena Korovina, a cui il cesenaticense aveva dichiarato di amare ancora la sua ex, i suoi spacciatori, tanti individui che caricavano pesanti segreti sulle spalle del Pirata.

Forse alla fine sono stati troppi per lui, e che l'hanno condotto a una fine triste, ma con molta probabilità non per mano sua. Alla notizia del ritrovamento del corpo in quella vuota stanza d'albergo, in molti si erano precipitati nel dare le più facili conclusioni: morte per overdose.
Dopo le analisi del medico legale, si vide invece subito, che il midollo osseo dell'atleta era in uno stato ottimale, e non certamente in quello di un cocainomane. Poi le tante incertezze sulle ore tra il decesso e la scoperta del cadavere, le chiamate indecifrabili, il cibo cinese che il Pirata non adorava, i giubbotti pesanti non appartenenti a lui, le ferite sul suo corpo che non sembravano autoinferte.
Anche il primo pm che affrontò la vicenda, Paolo Gengarelli, ammette che ci sono tante lacune nelle indagini, alcune molto evidenti, come la mancata acquisizione delle impronte presenti nella stanza del residence "Le Rose". Il lavoro del sostituto giovane procuratore Elisa Milocco, diventa ancor più difficile, non solo per gli anni passati dall'episodio, ma anche per la demolizione del luogo del ritrovo, con l'albergo ricostruito nel 2009.


Sono d'accordo con Nibali quando dice di lasciarlo riposare in pace, senza alzare come 10 anni fa, il polverone mediatico che lo seppellì, ma la famiglia e tutti quelli appassionati alla bandana, agli occhiali e all'orecchino, simboli di un ragazzo carismatico, meritano di ottenere la verità che permetterà a tutti di ricordarlo solo per le sue imprese, come quella dell'accoppiata Tour-Giro che lo rese famoso dopo il 1998.

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